Emergenze del bilanciamento tonico

Il corso sul Risveglio terapeutico dell’arto inferiore è appena terminato. Due giornate di laboratori esperienziali in cui ho proposto pratiche terapeutiche già ideate da molti anni (come le dinamiche di terapia manuale) insieme a pratiche venute alla luce in tempi recenti, come quelle riguardanti la tonalità del corpo vivente. A queste ultime appartengono i laboratori “Esplorare la tonalità dell’arto inferiore” e il “Bilanciamento tonico”, che si sono rivelati momenti particolarmente fecondi, meritevoli di essere richiamati alla memoria per evidenziarne il guadagno di consapevolezza.

Il laboratorio di esplorazione della tonalità si è ampliato temporalmente a dismisura, e l’ho permesso perché sentivo che stava maturando un nuovo modello d’indagine, fondato sul sentire di un nuovo sguardo e sulla messa in opera di una molteplicità sistematica di relazioni tattili.

Il laboratorio del bilanciamento tonico temporalmente è stato molto più contenuto, a motivo del suo essere posto nella fase conclusiva del corso. Ma ciò non ha impedito di viverlo come un’esperienza densamente fertile: attorno a un’unica proposta di bilanciamento tonico fra i versanti posteriore e anteriore dell’anca sono germinate molteplici situazioni rivelative. La proposta consisteva nell’appoggio longitudinale del ginocchio sulla mano del terapista, con l’anca in posizione di relativa apertura. Ma girando fra le coppie che provavano, ho potuto rilevare diversi fenomeni somestesici rivelanti particolari difficoltà espressive, ciascuna richiedente una specifica variazione della proposta originaria.

Il versante posteriore non riesce ad attivarsi: chiedo allora di esercitare la spinta mantenendo un appoggio sfiorante del ginocchio sul lettino.

Il versante anteriore non viene percepito nella sua partecipazione al bilanciamento tonico: oltre alla mano davanti al ginocchio, faccio applicare ampiamente l’altra mano lungo la radice anteriore della coscia vicina all’inguine, e allora si può sentire quest’area che cerca attivamente la mano.

Il tentativo di appoggio del ginocchio si associa a una tendenza all’elevazione del piede, che segnala un innesco della chiusura d’anca. Allora all’appoggio davanti al ginocchio associo un appoggio sul versante mediale del piede, generando così un nuovo schema di appoggio tonico.

Durante la spinta del ginocchio si produce un’elevazione del bacino dello stesso lato. Ciò mi richiama per analogia il problema dell’elevazione del moncone della spalla. Pongo allora una mano sotto la spina iliaca anteriore, che si associa all’appoggio del ginocchio.

Durante la spinta del ginocchio si avverte una tensione sulla faccia posteriore della coscia che sembra trattenere il ginocchio in un accenno di flessione (ischiocrurali). Allora associo al contatto sul ginocchio un altro contatto sul collo del piede per favorire una più piena espressione estensoria della spinta.

Nell’esporre il problema dello squilibrio tonale fra i due versanti dell’anca, ho utilizzato frequentemente il paragone di una coppia incapace di abitare insieme la stessa casa.

Inoltre sottolineo la posizione di ponte che questa esperienza di bilanciamento tonico assume come transizione fra la terapia manuale e l’esercizio terapeutico.

Ecco, questa ricchezza di difficoltà che stimola l’invenzione di nuovi adattamenti, e questo gettare ponti fra una dimensione e l’altra dell’esistenza, fra un passaggio e l’altro dell’esperienza terapeutica, mi colpiscono intimamente. Sono epifanie impreviste di una situazione in cui mi sono coinvolto. Manifestazioni di una formazione generativa e trasformativa.

Il risveglio somestesico

Sono nel tempo dell’attesa che si attivi il corso del Risveglio terapeutico dell’arto inferiore. Un’attesa un po’ speranzosa e un po’ inquieta. La speranza che il progetto di una terapia integrale del corpo sofferente possa essere compreso dalla comunità dei fisioterapisti. E l’inquietudine legata all’impressione di un ambiente che sembra non farsi toccare dalla sfida.

In questo clima di attesa ambivalente, vissuta come occasione propizia per l’insorgere di una tensione riflessiva, penso al senso del Risveglio come momento sorgivo di un’esperienza in cui il corpo si fa fenomeno a se stesso, e in intima connessione al suo spazio di relazione.

Il risveglio è innanzitutto il corpo vivente che si risveglia a se stesso, come a dire un “eccomi” che riemerge dal buio nascosto dell’indifferenza a sé. Un “eccomi” che non è semplice constatazione di una presenza, ma un “presentarsi a …”: a chi o a che cosa?

È qui che il tema del risveglio somestesico nell’esperienza terapeutica si rivela come una metafora molto pertinente. Ogni volta che mi sveglio al mattino, sento che c’è attorno a me il mondo che mi guarda e mi attende, un nuovo giorno che è pronto a prendere vita con me. Svegliarmi equivale subito a entrare nel legame primario con queste realtà cui sento di appartenere completamente e ritmicamente. Realtà che mi richiamano per mettermi nuovamente in gioco. Il risveglio è già una relazione.

Allo stesso modo, quando un luogo del corpo dimenticato e sofferente si risveglia nell’esperienza terapeutica, dice “eccomi” in quanto si presenta a un ambiente intimo con cui si pone nella disponibilità di una relazione, e a sua volta questo ambiente lo richiama alla relazione. Se il luogo che sperimenta il risveglio è il piede, l’ambiente intimo che lo risveglia e lo chiama alla relazione sarà il terreno su cui appoggia, ma anche il ginocchio che esplora lo spazio lì vicino a lui, o il tronco che lo cerca attivamente. E una volta svegliato, il piede è chiamato a giocare in differenti modi nella relazione con il terreno, il ginocchio, l’anca, il bacino, il tronco, il capo, le mani.

Si instaura così una esperienza somatica fondata sulla relazione estetica fra le parti, dove si condividono qualità tonali specifiche e diffuse, dove ogni luogo è un intero-di-senso a sé, pur sentendosi parte di un intero di senso più comprensivo. Ogni percezione del corpo riconosciuta in quanto fenomeno estetico è fin da subito espressione dinamica e affettiva di una qualità tonale del corpo attivamente proteso in un gesto di relazione.

La dimensione estetica dell’esperienza terapeutica (terapeutica in quanto già in sé generativa di un cambiamento favorevole sul piano del sentire) è come un fiume in piena che tende a oltrepassarsi, instaurando relazioni di senso verso altre dimensioni dell’esperienza in cui si riconosce l’esperienza umana. E nella misura in cui queste dimensioni-altre (scientifica, esistenziale, simbolica) riescono a riconoscersi tutte nella loro genesi (risveglio) e anima (nucleo) somatica, e a loro volta stimolarla e rinnovarla, possiamo concepire la circolarità vitale e integrale di quel processo di cambiamento che chiamiamo esperienza terapeutica.

01. GT arto inf risveglio – programma 2016

Integrazioni ed espansioni

È appena finito il corso “La coordinazione integrale dell’arto inferiore”, svoltosi il 5 e 6 marzo 2016, secondo corso dedicato all’arto inferiore dopo “Il risveglio terapeutico dell’arto inferiore” dell’autunno scorso. Il nucleo centrale del corso sta nell’idea dell’integrazione come funzione di sintesi fra i diversi piani che offrono un senso disponibile per l’esperienza dei problemi degli arti inferiori.

Sono consapevole del fatto che la parola “integrazione” usata con troppa facilità rischia di risultare abusata e retorica, e in fin dei conti vuota di reali contenuti al di là di facili commistioni. Per cui c’è da interrogarsi seriamente su che cosa e come integrare. La domanda su “che cosa integrare” chiama in causa i diversi piani costitutivi dell’esperienza dell’arto inferiore. In particolare i piani considerati nella mia prospettiva sono la chinesiologia, l’estetica e la simbologia. A molti terapisti i due ultimi piani risulteranno indubbiamente estranei, non riuscendo a comprendere quale attinenza essi abbiano per la riabilitazione.

Ma per un terapista che abbia cominciato a sensibilizzarsi verso un’esperienza terapeutica centrata sul sentire somatico, l’estetica risulta già una dimensione di senso più che pertinente, necessaria per poter parlare a tutti gli effetti di esperienza terapeutica. L’estetica dell’esperienza terapeutica consiste nel vivere consapevolmente il corpo come fenomeno somestesico, dinamico e affettivo, nella sua relazione situata con le presenze dell’ambiente in cui vive. Quindi è l’estetica del corpo vivente nel mondo della vita, con le sue possibilità e le sue sofferenze, a costituire l’avvio e il centro esperienziale della terapia.

L’estetica terapeutica instaura allora una prima forma di integrazione con le scienze di base, in particolare con la chinesiologia considerata come il fulcro per una considerazione razionale dei problemi del corpo e del movimento. Durante il corso la chinesiologia, con le sue rappresentazioni di omini stilizzati attraversati da linee vettoriali, ha rappresentato un passaggio significativo per presentare i dinamismi nelle fasi del cammino, e in particolare gli schemi di adattamento nelle fasi del passo anteriore e del passo posteriore. Ma questi schemi sarebbero destinati a rimanere regole astratte se non facessero i conti con l’esperienza somestesica del corpo che si dispone nel contatto vivo con il terreno e con lo spazio circostante. Qui il sentire somestesico si pone in dialogo costante con le leggi della chinesiologia, da un lato per verificarle, dall’altro anche per sperimentare qualità percettive che esorbitano dalle attese teoriche, dando luogo a esperienze originali e finemente variabili. In ogni caso comunque la razionalità chinesiologica e la sensibilità estetica possono sposarsi, per cui nella riflessione chinesiologia prendono corpo le tensioni del sentire, e a sua volta nel dinamismo espressivo dell’esperienza estetica prendono forma campi di forze dotate di intensità e direzionalità.

L’altra integrazione è fra l’estetica e la simbolica. Qui l’estetica del sentire corporeo tende a trascendersi in temi e motivi simbolici che prendono spunto dalle più svariate fonti: il linguaggio metaforico, il pensiero mitologico, le opere d’arte, il percorso esistenziale personale. Il simbolismo si rivela già nelle metafore sottese alle parole che esprimono i Gesti. Ad esempio Radicarsi e Crescere nel loro insieme esprimono il senso di appartenenza e di libertà, come direzioni opposte e complementari che caratterizzano la condizione umana come “essere fra la terra e il cielo”. Ricco di spunti in questo senso è stato il gesto del Rivolgersi, accostato ai dipinti “La Fortuna” di Rubens (la spirale del rivolgersi ascendente), “L’annunciazione” di Botticelli (la svolta e le tendenze contrastanti interne), “Venere e Adone” di Tiziano (rivolgersi come torsione desiderante dell’incontro nel tempo che unisce e separa), “Atalanta e Ippomene di Guido Reni (rivolgersi come convogliarsi su un punto che fissa o come espandersi verso un traguardo aperto). In tal modo il sentire smette di autocompiacersi, e si trascende per diventare forma simbolica, per farsi tema dell’esistenza umana personale, con le sue memorie, i suoi progetti, e le forme di trascendenza che l’attraversano da un capo all’altro dell’avventura vitale.

Anche il cammino, una volta liberato dall’idea fissa della normalizzazione, si riscopre al proprio interno come un susseguirsi di gesti che chiedono solo di essere esplorati e rielaborati liberamente, espandendo le proprie possibilità espressive, come abbiamo avuto modo di sperimentare nelle ultime ore del corso. In tal modo il cammino si fa simbolo pregnante della condizione umana e dell’indagine esplorativa, e in quanto tale può essere assunto esplicitamente dall’esperienza terapeutica, e non solo. Come quando, nella sera fra le due giornate del corso, ho sperimentato con due amici una speciale forma di cammino espansivo a braccia aperte come ali.

“Le basi del Gesto terapeutico”. Riflessione sull’esperienza.

Sono nel bel mezzo di una serie di giornate de “Le basi del Gesto terapeutico”, corso introduttivo al progetto culturale del Gesto terapeutico. Ho tenuto una giornata a Trento (il 16 gennaio), una oggi a Montegrotto Terme (6 febbraio), e un’altra è prevista a Trieste (15 aprile). Si tratta di una iniziativa, quella del corso introduttivo, che avevo concepito un po’ per necessità, per far fronte alla difficoltà riscontrata negli ultimi anni a far partire i corsi del Gesto terapeutico, e quindi con l’intento di far conoscere meglio il progetto alla comunità dei fisioterapisti.

Questo periodo di difficoltà dell’iniziativa era concomitante al venir meno della mia collaborazione con due istituzioni formative importanti: il corso di laurea in Fisioterapia della sede di Padova e il Master in Terapia manuale di Padova. Avevo scelto di pormi alla periferia del mondo riabilitativo, per dedicarmi più pienamente a una ricerca terapeutica che mi portava ad allontanarmi dalle parole d’ordine e dai luoghi comuni della comunità riabilitativa attuale. La situazione nel suo insieme prendeva la forma di una sincronicità significativa che mi invitava a coltivare il seme di nuove intuizioni, nuove possibilità di esperienza nel sottosuolo del piccolo mondo dell’esperienza quotidiana con i pazienti, del gruppo Nuove Frontiere Riabilitative e dei Seminari. Un po’ come nelle giornate invernali di freddo pungente, il seme viene protetto dalla terra e dalla coltre di neve per maturare internamente, in attesa di momenti più favorevoli a germogliare esternamente.

Quindi forse grazie proprio a questa condizione di isolamento culturale le riflessioni, le pratiche terapeutiche e i laboratori formativi dei vari incontri (i Seminari, Ca’Roman, il laboratorio con il gruppo Voll di danza contemporanea) si andavano facendo più intraprendenti, in quanto liberi dai canoni di una cultura professionale tutta votata all’evidenza scientifica.

Sullo sfondo di questa contingenza si è presentata quindi l’esigenza del corso introduttivo che è il tema della presente riflessione. Ripeto: inizialmente concepita come una necessità pragmatica, mirata a promuovere il progetto del gesto terapeutico verso una comunità tendenzialmente indifferente. Ma poi rivelatasi, in realtà, una necessità strutturale ai fini di una  comprensione ed evoluzione degli stessi temi formativi e terapeutici del progetto.

Infatti, affrontando il compito di presentare ai fisioterapisti un progetto con i suoi temi estranei, le sue pratiche insolite, il suo linguaggio dell’esperienza difforme dai clichés del linguaggio tecnico-scientifico, mi ponevo la questione di come potevo veicolare in modo comprensibile tali temi, pratiche e linguaggio. È stato questo il compito che ho sentito più difficile e gravoso. Un compito che mi scomodava fortemente dalla pigrizia che mi teneva nel recinto del mio mondo. Come si fa a comunicare il senso di concetti quali “fenomenologia”, “forme gestuali”, “sintonia intersomatica”, “estetica terapeutica”, “corpo vivente” “evidenza espressiva”, “spontaneità”, e via dicendo, a terapisti orientati quasi esclusivamente a una pratica basata sull’evidenza scientifica, al movimento concepito solo come fatto cinetico, alla terapia come normalizzazione, alle urgenze dell’efficacia, al corpo-macchina, al controllo motorio? Troppa differenza, tutto sembra destinato all’opposizione o all’indifferenza.

Difficile far passare l’intuizione inclusiva che il corpo vivente comprende al proprio interno anche le determinazioni della sua fisicità e persino la metafora del corpo-macchina se consapevolmente usata. Difficile far intuire che la pratica scientifica si riscopre e si valorizza se non perde la connessione con il proprio radicamento antropologico. Difficile affidarsi alla somestesi come filo d’Arianna che orienta lungo il cammino nel labirinto della sofferenza e della terapia, per chi si è affidato all’affidabilità statistica di tests clinici standard e all’abilità di tecniche terapeutiche pre-definite.

Ma accettando la sfida della proposta e del confronto nel corso introduttivo sulle basi del Gesto terapeutico, ho potuto constatare due sorprese. La prima sorpresa riguardava i partecipanti al corso: pur trattandosi nella maggior parte di colleghi con percorsi articolati nell’ambito dei concetti della terapia manuale ortopedica, in realtà hanno mostrato una buona disponibilità a mettersi in gioco, a cercare di capire i temi, le pratiche e i linguaggi che proponevo loro. Ho trovato cioè una vicinanza maggiore che mi ha rin-cuorato, mi ha scaldato il cuore, rispetto ai periodi di gelo da cui provenivo.

La seconda sorpresa per me sono stato io stesso, la mia difficoltà a costruire e veicolare una comunicazione efficace con i colleghi che hanno partecipato ai corsi. Quante ore passate a riflettere su cosa e come potevano significare per loro i contenuti che andavo proponendo! E preso dalla difficoltà di tale intento, senza accorgermene il lavorio diventava più intimamente mio: era a me stesso che dovevo chiarire più a fondo, più radicalmente il senso di quei temi. La tensione faticosa a gettare ponti di comprensione verso gli altri scavava e interrogava più profondamente nella mia direzione. Ed è così che una necessità faticosa verso gli altri si è rivelata allo stesso tempo un’opportunità evolutiva per me. Rivisitando e interrogando con questa tensione interrogativa ambi-direzionale i tre ambiti metodologici fondamentali del Gesto terapeutico (le forme gestuali, l’indagine esplorativa e le dinamiche di terapia manuale), ho avuto l’opportunità di introdurre nuovi temi, tessere differentemente alcuni rapporti, precisare alcune definizioni, dare nomi nuovi.

Mi sento ancora dentro questo lavorio, e di questo risente soprattutto la fase iniziale della giornata di formazione: è la parte più difficile, perché giocata tutta sul piano dei concetti, del linguaggio, dove sento ancora l’esigenza di una parola più incarnata e più viva, capace di ispirare il senso della nuova prospettiva di esperienza terapeutica.

Ma poi, quando nei laboratori entra in scena il corpo vivente, l’esperienza prende il suo corso, tutto si fa più fluido e intenso, lì sento che il senso formativo e terapeutico si sta scrivendo nella carne di ciascuno. Avvicinandomi con cura a questi corpi viventi disponibili a formarsi, porgendo qua e là parole riflessive, un ascolto attento, uno sguardo intento, un contatto manuale in cerca di sintonia, una piccola scoperta che apre a uno sbocco di cambiamento nel corso di una forma gestuale, si genera un clima molto simile a quello che vivo nella mia quotidianità terapeutica. E allora sento di abitare con questi colleghi uno spazio familiare, e allo stesso tempo trasformativo.

Natale

Scuola di Riabilitazione Fenomenologica – formazione 2016

La Scuola di Riabilitazione Fenomenologica non è un’istituzione dotata di un programma stabile e riposta nello spazio fisico di un edificio. È una scuola la cui realtà vive e si rinnova nello spirito di esperienza e ricerca formativa e terapeutica dei soggetti che vi prendono parte.

In questa scuola priva di mura fisiche e simboliche, in quanto luogo libero del cambiamento, l’esperienza si manifesta coerentemente nel come della propria metodologia: la somestesi come perno di ogni esperienza incarnata, l’espressività come ampliamento e intensificazione dinamica e affettiva del senso del movimento, il gesto come forma della relazione corporea fra sé e mondo, l’indagine esplorativa come processo intuitivo di orientamento alla comprensione di un tema (problema terapeutico, bisogno formativo), la scoperta come momento originale di rinnovamento di un campo conoscitivo fluido e aperto, la coscienza sintonica capace di porsi in relazione con le qualità tonali del corpo, il dialogo come modello di costruzione intersoggettiva del senso dell’esperienza.

In sostanza, la Scuola come luogo dedicato per apprendere a liberare l’esperienza del cambiamento formativo e terapeutico, passo dopo passo. Perché il cambiamento, coerentemente alla propria natura, vuol essere esperienza libera nel proprio metodo, se vuole liberare le proprie possibilità. La denominazione Fenomenologica della nostra scuola deriva dall’adozione di un metodo coerente con le esigenze dei fenomeni dell’esperienza umana: partire dai fenomeni del corpo, e seguirli fedelmente come centro e filo conduttore del senso nell’esperienza formativa e terapeutica.

Tre sono i progetti principali nei quali si sviluppa l’esperienza formativa della Scuola: il Gesto terapeutico, i Seminari e gl’Incontri. L’anno 2015 ha rappresentato un passaggio di revisione nella prospettiva di questi percorsi, che proseguirà nel 2016 con proposte rinnovate nei contenuti e nei metodi.

Il Gesto terapeutico, progetto destinato a fisioterapisti, terapisti della neuropsicomotricità e osteopati, è ripreso dopo alcuni anni di sospensione, durante i quali sono venuti maturando nuovi concetti e possibilità esperienziali per la pratica terapeutica. Il focus di questo progetto è la pratica terapeutica quotidiana mirata alle specifiche condizioni cliniche del corpo sofferente. Nel 2015 si è formato un primo gruppo esperienziale che proseguirà il percorso nel 2016, e per l’anno nuovo ci si propone l’avvio di altri gruppi.

I Seminari, progetto destinato a tutte le professioni della Riabilitazione, hanno mirato ai temi radicali e fondativi dell’esperienza riabilitativa. Nel corso dell’ultimo anno è maturata la necessità di passare da una fase ricettiva, in cui sono stati assimilati nuovi concetti e metodi dell’esperienza riabilitativa, a una fase propositiva, in cui i terapisti riabilitativi potranno condividere le ricerche esperienziali originali intraprese. A tale scopo l’esperienza dei Seminari evolverà in quella di un Convegnoaperto alla comunità riabilitativa, per contribuire a un’evoluzione culturale al di là della ristretta prospettiva del paradigma attuale.

Gli Incontri hanno trovato un appuntamento annuale significativo nell’incontro di Ca’Roman (laguna di Venezia). In essi si sperimentano liberamente nuove proposte di laboratorio, espandendo le prospettive dell’esperienza. Anche in questo caso è previsto uno sviluppo, con un secondo incontro annuale.

formazione SRF 2016 – presentazione

 

Epifanie del radicarsi

Seminario performativo di Forme gestuali. 15 novembre 2015.

Il seminario origina dall’incrocio fra due esigenze. L’esigenza di una realtà della danza contemporanea (l’Associazione Voll di Vicenza) di accostarsi a una nuova sensibilità somatica, per dare radicamento e nuove possibilità espressive alla propria disciplina artistica. E l’esigenza di Natale Migliorino di esporre le Forme gestuali, sorte in un contesto terapeutico, alla prospettiva originale del mondo artistico, con la sua sensibilità estetica capace di far emergere potenzialità ancora inespresse.
Il tema del seminario, centrato sulla forma del Radicarsi, rivela l’esigenza primaria di riscoprire il senso dei nostri gesti, terapeutici o artistici, a partire dalla soglia di contatto e di continuità con la terra, fonte primaria di senso, sensibilità e organizzazione del movimento.
Il mattino è dedicato al laboratorio delle Forme gestuali, in cui si esplora la varietà di modi espressivi del Radicarsi. Al pomeriggio si elabora una coreografia costruita sulle differenti impronte che il Radicarsi ha lasciato nella sensibilità somatica e affettiva dei diversi soggetti.

epifanie radicarsi – canovaccio

Progetto formativo “Il Gesto Terapeutico”.

È attivato a partire dall’autunno 2015 il progetto formativo “Il Gesto terapeutico”, una nuova prospettiva di esperienza terapeutica riguardante le sofferenze a carico delle diverse regioni del sistema di movimento. La novità della prospettiva consiste nel considerare gli atti terapeutici (la terapia manuale, l’esercizio terapeutico) come esperienze somestesiche capaci di risvegliare qualità estetiche che l’incuranza e la sofferenza hanno inibito. Il processo di risveglio somatico diviene fonte di scoperte significative e di cambiamento terapeutico radicale, ancor prima di riferirsi alle patologie cliniche solitamente considerate.
Coerentemente a questa prospettiva, gli atti di terapia manuale non sono considerati “tecniche”, ma dinamiche intercorporee. E gli esercizi abbandonano il carattere strumentale di rinforzo, controllo, allenamento, per divenire  Forme gestuali, ossia esperienze somatiche di qualità somestesiche con cui il corpo riscopre e rinnova la propria intrinseca coordinazione integrale, e insieme la relazione solidale con lo spazio proprio.
L’esperienza terapeutica con il paziente si caratterizza inoltre per una pedagogia della formazione somestesica, caratterizzata da strategie esplorative aperte, per  l’apprendimento sensomotorio secondo processi di risveglio e coordinazione spontanei anziché imbrigliati dal controllo motorio. L’adattamento alle esigenze delle specifiche patologie consegue alle forme dell’esperienza, anziché esserne la premessa. Ne deriva un processo terapeutico aperto e creativo, pur senza perdere di vista le esigenze cliniche.
Questo è l’orientamento fenomenologico che permette di incontrare il paziente nello specifico della sua sofferenza e del suo bisogno di salute, e quindi di sviluppare un’esperienza terapeutica originale anziché omologata a protocolli astratti. Ci situiamo così nel cuore pulsante della Riabilitazione somatica, che riscopre la propria originalità di disciplina necessariamente e sistematicamente incarnata nel sentire corporeo, e dotata di una propria filosofia e pedagogia dell’esperienza, come precondizione per instaurare un fecondo dialogo ad ampio spettro con le altre discipline mediche e umanistiche.
I primi corsi del progetto riguardano le condizioni cliniche dell’arto inferiore. Il primo corso è propedeutico al secondo.

Corso: “Il risveglio dell’arto inferiore” (20-22 novembre 2015).
L’arto inferiore è il luogo del corpo deputato al contatto diretto con il suolo, per garantire l’equilibrio e attivare gli spostamenti nell’ambiente. Esso è il tramite fra noi e la terra, e come questa rappresenta lo sfondo ambientale delle nostre esperienze, così anche l’arto inferiore finisce per diventare lo sfondo lontano della nostra esperienza corporea: conosciamo le sue utilissime funzioni, ma non sentiamo più la sua viva presenza. Quando sia stato soggetto a trauma o usura, non sappiamo chiedergli altro che di recuperare forza ed efficienza. Nella diffusa metafora del corpo-macchina, l’arto inferiore è la parte corporea che più sembra prestarsi e adeguarsi al ruolo di una macchina abitata da forze e disabitata dalla coscienza.
A motivo di questa condizione di alienazione dalla propria natura vivente, l’esperienza terapeutica si deve dare il compito di porre a tema primario il risveglio del sentire dell’arto inferiore nelle sue intrinseche qualità tonali, oltre che nelle sue relazioni primarie con la terra e con gli altri luoghi del corpo. Questo risveglio farà innanzitutto i conti con i sintomi, le distonie e le disestesie radicate, le tensioni sorde e i cedimenti acuti di luoghi corporei incapaci di sostenere sensibilmente il ruolo di sostegno loro affidato. L’esperienza della terapia manuale e delle forme gestuali è un percorso di cambiamento che si attiva a partire dalle qualità somestesiche ed espressive del corpo, e dalla relazione sensibile e solidale con il proprio ambiente di vita.

Contenuti generali del corso: 1. GT risveglio arto inferiore

 

Incontro di Ca’Roman, 18-20 settembre 2015, 6a edizione

“Cosa accade, cosa si trama fra il gesto e i suoi luoghi”.

Il titolo dell’incontro di Ca’Roman di quest’anno intende essere una prosecuzione dell’incontro dell’anno prossimo. In sostanza, una ricerca volta a esplorare il senso radicale e generativo che il gesto terapeutico esprime come atto intenzionale di sintesi globale, fra luoghi di senso del corpo e spazi di senso del mondo in cui vive.
L’oasi di Ca’Roman è divenuta ormai il nostro luogo privilegiato per ispirare forme di laboratorio libere e improvvisative, che danno continuità di energia e ispirazione ai nostri percorsi di ricerca esperienziale da un anno all’altro.

Ca’ roman locandina 2015 – contributi

L’esperienza terapeutica del cammino

Venezia 11-12 giugno 2015.

La stazione eretta e il cammino sono funzioni stabilitesi con l’avvento evolutivo del sistema vivente uomo. La loro genesi evolutiva relativamente recente e le abitudini costrette connesse a un ambiente umano non più naturale sono le precondizioni generali per lo stabilirsi di disfunzioni posturali e deambulatorie molto diffuse.
Il corso ha per tema il cammino, adottando una prospettiva che, pur non trascurando l’apporto della chinesiologia, privilegia il metodo esperienziale di una estetica fenomenologica fondata sul coinvolgimento in prima persona, sull’analisi somestesico-affettiva, e sulla riscoperta dei gesti fondamentali che costituiscono il cammino. Il cammino è concepito come sequenza di Forme gestuali di relazione significativa con il terreno e nell’attraversamento dello spazio di esperienza. Le dinamiche coordinate di terapia manuale contribuiscono a modificare i tessuti per renderli disponibili nell’espressione delle qualità gestuali del cammino.

Il programma del corso: Esperienza Terapeutica Cammino

.

Seminari della SRF 2015

Il programma dei seminari del 2015 è pronto. Quest’anno ci orientiamo verso due piani dell’esperienza, l’etica e l’estetica, che in qualche modo abbiamo già cominciato a frequentare, ma che meritano di essere posti al centro della scena, dopo essere stati a lungo emarginati se non esclusi dalla cultura riabilitativa. L’accesso a questi due piani generali di senso si renderà praticabile affrontando due temi, l’Ombra e la Grazia, dotati di grande pregnanza per ampliare il senso dell’esperienza formativa e terapeutica.
SRF seminari 2015 – locandina