Riflessioni in coda a “Le basi del Gesto terapeutico”, Trieste, 15 febbraio 2016

È appena finita la giornata introduttiva al progetto formativo del Gesto terapeutico, intensamente condivisa con i colleghi formatori del Corso di laurea in Fisioterapia di Trieste. Qui di seguito alcune esperienze della giornata che mi sono rimaste impresse come passaggi particolarmente significativi.

1. Laboratorio “sporgersi e sostenersi”.

Molti spunti interessanti in questo laboratorio. Tra essi, mi restano particolarmente impressi quelli più “abduttivi”, che mi allontanano dalle facili categorizzazioni. Ad esempio, durante il laboratorio dello sporgersi e del sostenersi in posizione seduta alta, una collega percepisce una buona aderenza dei piedi e tensione anteriore delle cosce, associate a un inarcamento vistoso della schiena con addome disteso passivamente. È evidente in questo caso che non ci troviamo di fronte a uno schema di “trattenimento” puro per come lo avevo descritto nelle sue componenti somestesiche (inarcamento della schiena, tensione delle cosce posteriori e  scarsa o parziale aderenza dei piedi). La buona forma di radicamento e sostegno degli arti inferiori, secondo una progressione ascendente, subisce con l’inarcamento della schiena una brusca deviazione. A presentare un interesse critico qui è il passaggio addominale, la cui distensione passiva rappresenta l’altra faccia dell’inarcamento posteriore. Si palesa quindi in questo caso l’esigenza di lavorare sul campo cosce-piedi-addome, allo scopo di stimolare il risveglio tonico dell’addome.

2. Esplorare la sequenza del gesto (ESG).

Stiamo provando il laboratorio ESG, il movimento indagato è l’elevazione delle braccia. Avvicinandomi a un gruppetto, mi dicono che la collega con il ruolo di paziente ha un dolore dorsale durante il grado estremo di elevazione.

Osservo la collega, noto le ginocchia piuttosto tese, e parto da lì: le chiedo di ammorbidire (o rilassare) le ginocchia. Per tutta risposta vedo che le ginocchia vanno in iperestensione. Ripeto diverse volte la richiesta di ammorbidire le ginocchia, e puntualmente esse vanno in iperestensione.  A quel punto esprimo alla collega il mio riscontro, e lei mi risponde qualcosa del tipo: “certo, perché quando mi rilasso lascio andare le ginocchia in iperestensione”. E così dicendo mi mostra una capacità di iperestensione veramente notevole! Quindi la tensione estensoria iniziale che per me era un fenomeno di tensione degno di richiedere un ammorbidimento, per lei era già una posizione di ammorbidimento di un’iperestensione che andava ben oltre. Non solo, ma il mio invito ad ammorbidire (o a “rilassare”, non ricordo il termine che avevo utilizzato) lei lo aveva inteso come un invito a riportarsi nella posizione per lei più comoda e spontanea dell’iperestensione. Mia riflessione: che bell’esempio di frainteso linguistico!

Comunque, una volta chiarito il frainteso, le propongo di flettere leggermente di più le ginocchia, e quindi di notare se sente un cambiamento nel dolore dorsale. No, lei mi risponde, nessun cambiamento. Poi mantenendo le ginocchia in tale atteggiamento, le chiedo di sostenersi leggermente con l’addome inferiore (e così dicendo l’aiuto palpatoriamente ad attivare il tono). Risposta: nessun cambiamento dorsale. Infine mantenendo il tono addominale, le chiedo di sporgersi lievemente in avanti con il torace. Risposta: adesso sente scaricarsi il dorso, e il dolore è sparito.

Tre elementi di interesse in questo processo d’indagine: il primo è la possibilità del frainteso linguistico per cui  il paziente può interpretare in modo originale il compito affidatogli. Il secondo elemento, piuttosto ovvio nell’indagine, è quello di aver individuato una variazione (lo sporgersi del torace) che modificava significativamente il sintomo. Il terzo elemento ha riguardato la costruzione progressiva che ci ha condotto alla sparizione del sintomo: non abbiamo modificato isolatamente i singoli luoghi che componevano il gesto, ma abbiamo progressivamente costruito una qualità gestuale composita: disponibile (ginocchia), sostenuta (addome), aperta (torace) che nel suo insieme ha reso possibile il cambiamento.

3. Le dinamiche espressive delle mani e del corpo proprio.

Nell’ultimo laboratorio della giornata faccio provare al gruppo le tre qualità dinamiche della concordanza, discordanza e trasmissione. Per sensibilizzare preliminarmente i partecipanti, faccio provare loro queste dinamiche con le mani rivolte allo spazio, al fine di facilitare la messa in gioco globale del corpo.

Rimango stupito nel cogliere due tipi di situazione molto differenti: da un lato apprezzo l’espressività piena di alcuni colleghi che mostrano un coinvolgimento piacevole e bello da osservare, con movimenti lenti e fluidi, che emanano un sentire denso ed elastico. Ma qua e là nell’aula noto qualche corpo fisso con mani che si muovono incerte nello spazio: avverto il disagio di questo muoversi, mi verrebbe voglia di accorrere in soccorso, ma non lo faccio, perché comunque stanno vivendo l’esperienza, non si stanno sottraendo a essa, ci stanno dentro. Nel complesso entrambe queste situazioni, chi da una parte sta godendo di una qualità estetica gradevole e chi dall’altra sta dentro un disagio alla ricerca di una qualità che non riesce ad assaporare, sono comunque esperienze formative di valore, disponibili a una scoperta e a un cambiamento possibile di sé. E non è necessario intervenire fin da subito per modificare l’esperienza in corso.

4. Due tocchi, due luoghi, una situazione.

Una collega mi chiede come il contatto manuale può proporsi nella funzione di accompagnare l’esperienza della forma gestuale provata al mattino. Lei è seduta, mi pongo anch’io seduto al suo fianco, rivolto verso di lei, e la guido verso lo sporgersi. Appoggio una mano sul suo torace superiore, e la invito ad appoggiarsi a sua volta, aderendo e desiderando il contatto. Nel frattempo l’altra mia mano contatta la sua schiena, e mentre lei è impegnata nei primi tentativi di appoggio aderente anteriore, noto l’impulso d’inarcamento della sua schiena. Allora distendo ampiamente la mia mano sulla sua schiena, e le chiedo di cercare un appoggio aderente anche in tale sede. Sento il vuoto della schiena che gradualmente si colma, e il suo aderire delicato e diffuso sulla mia mano distesa. Adesso sento entrambi i luoghi, il torace e la schiena, pienamente aderenti al contatto con le mani. Lei mi dice che la sensazione di adesso è molto differente da quella provata questa mattina.

Nella mia riflessione penso innanzitutto alla modalità improvvisa con cui ho sentito arrivare la richiesta della collega, all’ascolto impegnativo che mi ha richiesto, e al mio aderire esperienziale immediato a essa, senza sapere al momento dove mi (ci) avrebbe portato. E l’evento accaduto per me ha avuto il sapore quasi di una novità, perché pur avendo avuto modo in passato di guidare la schiena e il torace dei pazienti in modi simili, è sempre un’esperienza particolare quella di cercare intenzionalmente il contatto aderente con due direzioni spaziali opposte. Questo “schema” è qualcosa di altro rispetto a uno schema di controllo motorio mirato a stabilizzare una parte mentre si muove un’altra parte. È l’esperienza di abitare diffusamente e in modo aderente lo spazio situazionale.

Emergenze del bilanciamento tonico

Il corso sul Risveglio terapeutico dell’arto inferiore è appena terminato. Due giornate di laboratori esperienziali in cui ho proposto pratiche terapeutiche già ideate da molti anni (come le dinamiche di terapia manuale) insieme a pratiche venute alla luce in tempi recenti, come quelle riguardanti la tonalità del corpo vivente. A queste ultime appartengono i laboratori “Esplorare la tonalità dell’arto inferiore” e il “Bilanciamento tonico”, che si sono rivelati momenti particolarmente fecondi, meritevoli di essere richiamati alla memoria per evidenziarne il guadagno di consapevolezza.

Il laboratorio di esplorazione della tonalità si è ampliato temporalmente a dismisura, e l’ho permesso perché sentivo che stava maturando un nuovo modello d’indagine, fondato sul sentire di un nuovo sguardo e sulla messa in opera di una molteplicità sistematica di relazioni tattili.

Il laboratorio del bilanciamento tonico temporalmente è stato molto più contenuto, a motivo del suo essere posto nella fase conclusiva del corso. Ma ciò non ha impedito di viverlo come un’esperienza densamente fertile: attorno a un’unica proposta di bilanciamento tonico fra i versanti posteriore e anteriore dell’anca sono germinate molteplici situazioni rivelative. La proposta consisteva nell’appoggio longitudinale del ginocchio sulla mano del terapista, con l’anca in posizione di relativa apertura. Ma girando fra le coppie che provavano, ho potuto rilevare diversi fenomeni somestesici rivelanti particolari difficoltà espressive, ciascuna richiedente una specifica variazione della proposta originaria.

Il versante posteriore non riesce ad attivarsi: chiedo allora di esercitare la spinta mantenendo un appoggio sfiorante del ginocchio sul lettino.

Il versante anteriore non viene percepito nella sua partecipazione al bilanciamento tonico: oltre alla mano davanti al ginocchio, faccio applicare ampiamente l’altra mano lungo la radice anteriore della coscia vicina all’inguine, e allora si può sentire quest’area che cerca attivamente la mano.

Il tentativo di appoggio del ginocchio si associa a una tendenza all’elevazione del piede, che segnala un innesco della chiusura d’anca. Allora all’appoggio davanti al ginocchio associo un appoggio sul versante mediale del piede, generando così un nuovo schema di appoggio tonico.

Durante la spinta del ginocchio si produce un’elevazione del bacino dello stesso lato. Ciò mi richiama per analogia il problema dell’elevazione del moncone della spalla. Pongo allora una mano sotto la spina iliaca anteriore, che si associa all’appoggio del ginocchio.

Durante la spinta del ginocchio si avverte una tensione sulla faccia posteriore della coscia che sembra trattenere il ginocchio in un accenno di flessione (ischiocrurali). Allora associo al contatto sul ginocchio un altro contatto sul collo del piede per favorire una più piena espressione estensoria della spinta.

Nell’esporre il problema dello squilibrio tonale fra i due versanti dell’anca, ho utilizzato frequentemente il paragone di una coppia incapace di abitare insieme la stessa casa.

Inoltre sottolineo la posizione di ponte che questa esperienza di bilanciamento tonico assume come transizione fra la terapia manuale e l’esercizio terapeutico.

Ecco, questa ricchezza di difficoltà che stimola l’invenzione di nuovi adattamenti, e questo gettare ponti fra una dimensione e l’altra dell’esistenza, fra un passaggio e l’altro dell’esperienza terapeutica, mi colpiscono intimamente. Sono epifanie impreviste di una situazione in cui mi sono coinvolto. Manifestazioni di una formazione generativa e trasformativa.

Il risveglio somestesico

Sono nel tempo dell’attesa che si attivi il corso del Risveglio terapeutico dell’arto inferiore. Un’attesa un po’ speranzosa e un po’ inquieta. La speranza che il progetto di una terapia integrale del corpo sofferente possa essere compreso dalla comunità dei fisioterapisti. E l’inquietudine legata all’impressione di un ambiente che sembra non farsi toccare dalla sfida.

In questo clima di attesa ambivalente, vissuta come occasione propizia per l’insorgere di una tensione riflessiva, penso al senso del Risveglio come momento sorgivo di un’esperienza in cui il corpo si fa fenomeno a se stesso, e in intima connessione al suo spazio di relazione.

Il risveglio è innanzitutto il corpo vivente che si risveglia a se stesso, come a dire un “eccomi” che riemerge dal buio nascosto dell’indifferenza a sé. Un “eccomi” che non è semplice constatazione di una presenza, ma un “presentarsi a …”: a chi o a che cosa?

È qui che il tema del risveglio somestesico nell’esperienza terapeutica si rivela come una metafora molto pertinente. Ogni volta che mi sveglio al mattino, sento che c’è attorno a me il mondo che mi guarda e mi attende, un nuovo giorno che è pronto a prendere vita con me. Svegliarmi equivale subito a entrare nel legame primario con queste realtà cui sento di appartenere completamente e ritmicamente. Realtà che mi richiamano per mettermi nuovamente in gioco. Il risveglio è già una relazione.

Allo stesso modo, quando un luogo del corpo dimenticato e sofferente si risveglia nell’esperienza terapeutica, dice “eccomi” in quanto si presenta a un ambiente intimo con cui si pone nella disponibilità di una relazione, e a sua volta questo ambiente lo richiama alla relazione. Se il luogo che sperimenta il risveglio è il piede, l’ambiente intimo che lo risveglia e lo chiama alla relazione sarà il terreno su cui appoggia, ma anche il ginocchio che esplora lo spazio lì vicino a lui, o il tronco che lo cerca attivamente. E una volta svegliato, il piede è chiamato a giocare in differenti modi nella relazione con il terreno, il ginocchio, l’anca, il bacino, il tronco, il capo, le mani.

Si instaura così una esperienza somatica fondata sulla relazione estetica fra le parti, dove si condividono qualità tonali specifiche e diffuse, dove ogni luogo è un intero-di-senso a sé, pur sentendosi parte di un intero di senso più comprensivo. Ogni percezione del corpo riconosciuta in quanto fenomeno estetico è fin da subito espressione dinamica e affettiva di una qualità tonale del corpo attivamente proteso in un gesto di relazione.

La dimensione estetica dell’esperienza terapeutica (terapeutica in quanto già in sé generativa di un cambiamento favorevole sul piano del sentire) è come un fiume in piena che tende a oltrepassarsi, instaurando relazioni di senso verso altre dimensioni dell’esperienza in cui si riconosce l’esperienza umana. E nella misura in cui queste dimensioni-altre (scientifica, esistenziale, simbolica) riescono a riconoscersi tutte nella loro genesi (risveglio) e anima (nucleo) somatica, e a loro volta stimolarla e rinnovarla, possiamo concepire la circolarità vitale e integrale di quel processo di cambiamento che chiamiamo esperienza terapeutica.

01. GT arto inf risveglio – programma 2016

Integrazioni ed espansioni

È appena finito il corso “La coordinazione integrale dell’arto inferiore”, svoltosi il 5 e 6 marzo 2016, secondo corso dedicato all’arto inferiore dopo “Il risveglio terapeutico dell’arto inferiore” dell’autunno scorso. Il nucleo centrale del corso sta nell’idea dell’integrazione come funzione di sintesi fra i diversi piani che offrono un senso disponibile per l’esperienza dei problemi degli arti inferiori.

Sono consapevole del fatto che la parola “integrazione” usata con troppa facilità rischia di risultare abusata e retorica, e in fin dei conti vuota di reali contenuti al di là di facili commistioni. Per cui c’è da interrogarsi seriamente su che cosa e come integrare. La domanda su “che cosa integrare” chiama in causa i diversi piani costitutivi dell’esperienza dell’arto inferiore. In particolare i piani considerati nella mia prospettiva sono la chinesiologia, l’estetica e la simbologia. A molti terapisti i due ultimi piani risulteranno indubbiamente estranei, non riuscendo a comprendere quale attinenza essi abbiano per la riabilitazione.

Ma per un terapista che abbia cominciato a sensibilizzarsi verso un’esperienza terapeutica centrata sul sentire somatico, l’estetica risulta già una dimensione di senso più che pertinente, necessaria per poter parlare a tutti gli effetti di esperienza terapeutica. L’estetica dell’esperienza terapeutica consiste nel vivere consapevolmente il corpo come fenomeno somestesico, dinamico e affettivo, nella sua relazione situata con le presenze dell’ambiente in cui vive. Quindi è l’estetica del corpo vivente nel mondo della vita, con le sue possibilità e le sue sofferenze, a costituire l’avvio e il centro esperienziale della terapia.

L’estetica terapeutica instaura allora una prima forma di integrazione con le scienze di base, in particolare con la chinesiologia considerata come il fulcro per una considerazione razionale dei problemi del corpo e del movimento. Durante il corso la chinesiologia, con le sue rappresentazioni di omini stilizzati attraversati da linee vettoriali, ha rappresentato un passaggio significativo per presentare i dinamismi nelle fasi del cammino, e in particolare gli schemi di adattamento nelle fasi del passo anteriore e del passo posteriore. Ma questi schemi sarebbero destinati a rimanere regole astratte se non facessero i conti con l’esperienza somestesica del corpo che si dispone nel contatto vivo con il terreno e con lo spazio circostante. Qui il sentire somestesico si pone in dialogo costante con le leggi della chinesiologia, da un lato per verificarle, dall’altro anche per sperimentare qualità percettive che esorbitano dalle attese teoriche, dando luogo a esperienze originali e finemente variabili. In ogni caso comunque la razionalità chinesiologica e la sensibilità estetica possono sposarsi, per cui nella riflessione chinesiologia prendono corpo le tensioni del sentire, e a sua volta nel dinamismo espressivo dell’esperienza estetica prendono forma campi di forze dotate di intensità e direzionalità.

L’altra integrazione è fra l’estetica e la simbolica. Qui l’estetica del sentire corporeo tende a trascendersi in temi e motivi simbolici che prendono spunto dalle più svariate fonti: il linguaggio metaforico, il pensiero mitologico, le opere d’arte, il percorso esistenziale personale. Il simbolismo si rivela già nelle metafore sottese alle parole che esprimono i Gesti. Ad esempio Radicarsi e Crescere nel loro insieme esprimono il senso di appartenenza e di libertà, come direzioni opposte e complementari che caratterizzano la condizione umana come “essere fra la terra e il cielo”. Ricco di spunti in questo senso è stato il gesto del Rivolgersi, accostato ai dipinti “La Fortuna” di Rubens (la spirale del rivolgersi ascendente), “L’annunciazione” di Botticelli (la svolta e le tendenze contrastanti interne), “Venere e Adone” di Tiziano (rivolgersi come torsione desiderante dell’incontro nel tempo che unisce e separa), “Atalanta e Ippomene di Guido Reni (rivolgersi come convogliarsi su un punto che fissa o come espandersi verso un traguardo aperto). In tal modo il sentire smette di autocompiacersi, e si trascende per diventare forma simbolica, per farsi tema dell’esistenza umana personale, con le sue memorie, i suoi progetti, e le forme di trascendenza che l’attraversano da un capo all’altro dell’avventura vitale.

Anche il cammino, una volta liberato dall’idea fissa della normalizzazione, si riscopre al proprio interno come un susseguirsi di gesti che chiedono solo di essere esplorati e rielaborati liberamente, espandendo le proprie possibilità espressive, come abbiamo avuto modo di sperimentare nelle ultime ore del corso. In tal modo il cammino si fa simbolo pregnante della condizione umana e dell’indagine esplorativa, e in quanto tale può essere assunto esplicitamente dall’esperienza terapeutica, e non solo. Come quando, nella sera fra le due giornate del corso, ho sperimentato con due amici una speciale forma di cammino espansivo a braccia aperte come ali.

“Le basi del Gesto terapeutico”. Riflessione sull’esperienza.

Sono nel bel mezzo di una serie di giornate de “Le basi del Gesto terapeutico”, corso introduttivo al progetto culturale del Gesto terapeutico. Ho tenuto una giornata a Trento (il 16 gennaio), una oggi a Montegrotto Terme (6 febbraio), e un’altra è prevista a Trieste (15 aprile). Si tratta di una iniziativa, quella del corso introduttivo, che avevo concepito un po’ per necessità, per far fronte alla difficoltà riscontrata negli ultimi anni a far partire i corsi del Gesto terapeutico, e quindi con l’intento di far conoscere meglio il progetto alla comunità dei fisioterapisti.

Questo periodo di difficoltà dell’iniziativa era concomitante al venir meno della mia collaborazione con due istituzioni formative importanti: il corso di laurea in Fisioterapia della sede di Padova e il Master in Terapia manuale di Padova. Avevo scelto di pormi alla periferia del mondo riabilitativo, per dedicarmi più pienamente a una ricerca terapeutica che mi portava ad allontanarmi dalle parole d’ordine e dai luoghi comuni della comunità riabilitativa attuale. La situazione nel suo insieme prendeva la forma di una sincronicità significativa che mi invitava a coltivare il seme di nuove intuizioni, nuove possibilità di esperienza nel sottosuolo del piccolo mondo dell’esperienza quotidiana con i pazienti, del gruppo Nuove Frontiere Riabilitative e dei Seminari. Un po’ come nelle giornate invernali di freddo pungente, il seme viene protetto dalla terra e dalla coltre di neve per maturare internamente, in attesa di momenti più favorevoli a germogliare esternamente.

Quindi forse grazie proprio a questa condizione di isolamento culturale le riflessioni, le pratiche terapeutiche e i laboratori formativi dei vari incontri (i Seminari, Ca’Roman, il laboratorio con il gruppo Voll di danza contemporanea) si andavano facendo più intraprendenti, in quanto liberi dai canoni di una cultura professionale tutta votata all’evidenza scientifica.

Sullo sfondo di questa contingenza si è presentata quindi l’esigenza del corso introduttivo che è il tema della presente riflessione. Ripeto: inizialmente concepita come una necessità pragmatica, mirata a promuovere il progetto del gesto terapeutico verso una comunità tendenzialmente indifferente. Ma poi rivelatasi, in realtà, una necessità strutturale ai fini di una  comprensione ed evoluzione degli stessi temi formativi e terapeutici del progetto.

Infatti, affrontando il compito di presentare ai fisioterapisti un progetto con i suoi temi estranei, le sue pratiche insolite, il suo linguaggio dell’esperienza difforme dai clichés del linguaggio tecnico-scientifico, mi ponevo la questione di come potevo veicolare in modo comprensibile tali temi, pratiche e linguaggio. È stato questo il compito che ho sentito più difficile e gravoso. Un compito che mi scomodava fortemente dalla pigrizia che mi teneva nel recinto del mio mondo. Come si fa a comunicare il senso di concetti quali “fenomenologia”, “forme gestuali”, “sintonia intersomatica”, “estetica terapeutica”, “corpo vivente” “evidenza espressiva”, “spontaneità”, e via dicendo, a terapisti orientati quasi esclusivamente a una pratica basata sull’evidenza scientifica, al movimento concepito solo come fatto cinetico, alla terapia come normalizzazione, alle urgenze dell’efficacia, al corpo-macchina, al controllo motorio? Troppa differenza, tutto sembra destinato all’opposizione o all’indifferenza.

Difficile far passare l’intuizione inclusiva che il corpo vivente comprende al proprio interno anche le determinazioni della sua fisicità e persino la metafora del corpo-macchina se consapevolmente usata. Difficile far intuire che la pratica scientifica si riscopre e si valorizza se non perde la connessione con il proprio radicamento antropologico. Difficile affidarsi alla somestesi come filo d’Arianna che orienta lungo il cammino nel labirinto della sofferenza e della terapia, per chi si è affidato all’affidabilità statistica di tests clinici standard e all’abilità di tecniche terapeutiche pre-definite.

Ma accettando la sfida della proposta e del confronto nel corso introduttivo sulle basi del Gesto terapeutico, ho potuto constatare due sorprese. La prima sorpresa riguardava i partecipanti al corso: pur trattandosi nella maggior parte di colleghi con percorsi articolati nell’ambito dei concetti della terapia manuale ortopedica, in realtà hanno mostrato una buona disponibilità a mettersi in gioco, a cercare di capire i temi, le pratiche e i linguaggi che proponevo loro. Ho trovato cioè una vicinanza maggiore che mi ha rin-cuorato, mi ha scaldato il cuore, rispetto ai periodi di gelo da cui provenivo.

La seconda sorpresa per me sono stato io stesso, la mia difficoltà a costruire e veicolare una comunicazione efficace con i colleghi che hanno partecipato ai corsi. Quante ore passate a riflettere su cosa e come potevano significare per loro i contenuti che andavo proponendo! E preso dalla difficoltà di tale intento, senza accorgermene il lavorio diventava più intimamente mio: era a me stesso che dovevo chiarire più a fondo, più radicalmente il senso di quei temi. La tensione faticosa a gettare ponti di comprensione verso gli altri scavava e interrogava più profondamente nella mia direzione. Ed è così che una necessità faticosa verso gli altri si è rivelata allo stesso tempo un’opportunità evolutiva per me. Rivisitando e interrogando con questa tensione interrogativa ambi-direzionale i tre ambiti metodologici fondamentali del Gesto terapeutico (le forme gestuali, l’indagine esplorativa e le dinamiche di terapia manuale), ho avuto l’opportunità di introdurre nuovi temi, tessere differentemente alcuni rapporti, precisare alcune definizioni, dare nomi nuovi.

Mi sento ancora dentro questo lavorio, e di questo risente soprattutto la fase iniziale della giornata di formazione: è la parte più difficile, perché giocata tutta sul piano dei concetti, del linguaggio, dove sento ancora l’esigenza di una parola più incarnata e più viva, capace di ispirare il senso della nuova prospettiva di esperienza terapeutica.

Ma poi, quando nei laboratori entra in scena il corpo vivente, l’esperienza prende il suo corso, tutto si fa più fluido e intenso, lì sento che il senso formativo e terapeutico si sta scrivendo nella carne di ciascuno. Avvicinandomi con cura a questi corpi viventi disponibili a formarsi, porgendo qua e là parole riflessive, un ascolto attento, uno sguardo intento, un contatto manuale in cerca di sintonia, una piccola scoperta che apre a uno sbocco di cambiamento nel corso di una forma gestuale, si genera un clima molto simile a quello che vivo nella mia quotidianità terapeutica. E allora sento di abitare con questi colleghi uno spazio familiare, e allo stesso tempo trasformativo.

Natale

Progetto formativo “Il Gesto Terapeutico”.

È attivato a partire dall’autunno 2015 il progetto formativo “Il Gesto terapeutico”, una nuova prospettiva di esperienza terapeutica riguardante le sofferenze a carico delle diverse regioni del sistema di movimento. La novità della prospettiva consiste nel considerare gli atti terapeutici (la terapia manuale, l’esercizio terapeutico) come esperienze somestesiche capaci di risvegliare qualità estetiche che l’incuranza e la sofferenza hanno inibito. Il processo di risveglio somatico diviene fonte di scoperte significative e di cambiamento terapeutico radicale, ancor prima di riferirsi alle patologie cliniche solitamente considerate.
Coerentemente a questa prospettiva, gli atti di terapia manuale non sono considerati “tecniche”, ma dinamiche intercorporee. E gli esercizi abbandonano il carattere strumentale di rinforzo, controllo, allenamento, per divenire  Forme gestuali, ossia esperienze somatiche di qualità somestesiche con cui il corpo riscopre e rinnova la propria intrinseca coordinazione integrale, e insieme la relazione solidale con lo spazio proprio.
L’esperienza terapeutica con il paziente si caratterizza inoltre per una pedagogia della formazione somestesica, caratterizzata da strategie esplorative aperte, per  l’apprendimento sensomotorio secondo processi di risveglio e coordinazione spontanei anziché imbrigliati dal controllo motorio. L’adattamento alle esigenze delle specifiche patologie consegue alle forme dell’esperienza, anziché esserne la premessa. Ne deriva un processo terapeutico aperto e creativo, pur senza perdere di vista le esigenze cliniche.
Questo è l’orientamento fenomenologico che permette di incontrare il paziente nello specifico della sua sofferenza e del suo bisogno di salute, e quindi di sviluppare un’esperienza terapeutica originale anziché omologata a protocolli astratti. Ci situiamo così nel cuore pulsante della Riabilitazione somatica, che riscopre la propria originalità di disciplina necessariamente e sistematicamente incarnata nel sentire corporeo, e dotata di una propria filosofia e pedagogia dell’esperienza, come precondizione per instaurare un fecondo dialogo ad ampio spettro con le altre discipline mediche e umanistiche.
I primi corsi del progetto riguardano le condizioni cliniche dell’arto inferiore. Il primo corso è propedeutico al secondo.

Corso: “Il risveglio dell’arto inferiore” (20-22 novembre 2015).
L’arto inferiore è il luogo del corpo deputato al contatto diretto con il suolo, per garantire l’equilibrio e attivare gli spostamenti nell’ambiente. Esso è il tramite fra noi e la terra, e come questa rappresenta lo sfondo ambientale delle nostre esperienze, così anche l’arto inferiore finisce per diventare lo sfondo lontano della nostra esperienza corporea: conosciamo le sue utilissime funzioni, ma non sentiamo più la sua viva presenza. Quando sia stato soggetto a trauma o usura, non sappiamo chiedergli altro che di recuperare forza ed efficienza. Nella diffusa metafora del corpo-macchina, l’arto inferiore è la parte corporea che più sembra prestarsi e adeguarsi al ruolo di una macchina abitata da forze e disabitata dalla coscienza.
A motivo di questa condizione di alienazione dalla propria natura vivente, l’esperienza terapeutica si deve dare il compito di porre a tema primario il risveglio del sentire dell’arto inferiore nelle sue intrinseche qualità tonali, oltre che nelle sue relazioni primarie con la terra e con gli altri luoghi del corpo. Questo risveglio farà innanzitutto i conti con i sintomi, le distonie e le disestesie radicate, le tensioni sorde e i cedimenti acuti di luoghi corporei incapaci di sostenere sensibilmente il ruolo di sostegno loro affidato. L’esperienza della terapia manuale e delle forme gestuali è un percorso di cambiamento che si attiva a partire dalle qualità somestesiche ed espressive del corpo, e dalla relazione sensibile e solidale con il proprio ambiente di vita.

Contenuti generali del corso: 1. GT risveglio arto inferiore

 

L’esperienza terapeutica del cammino

Venezia 11-12 giugno 2015.

La stazione eretta e il cammino sono funzioni stabilitesi con l’avvento evolutivo del sistema vivente uomo. La loro genesi evolutiva relativamente recente e le abitudini costrette connesse a un ambiente umano non più naturale sono le precondizioni generali per lo stabilirsi di disfunzioni posturali e deambulatorie molto diffuse.
Il corso ha per tema il cammino, adottando una prospettiva che, pur non trascurando l’apporto della chinesiologia, privilegia il metodo esperienziale di una estetica fenomenologica fondata sul coinvolgimento in prima persona, sull’analisi somestesico-affettiva, e sulla riscoperta dei gesti fondamentali che costituiscono il cammino. Il cammino è concepito come sequenza di Forme gestuali di relazione significativa con il terreno e nell’attraversamento dello spazio di esperienza. Le dinamiche coordinate di terapia manuale contribuiscono a modificare i tessuti per renderli disponibili nell’espressione delle qualità gestuali del cammino.

Il programma del corso: Esperienza Terapeutica Cammino

.

Programmazione SRF 2014

Ecco la programmazione dei corsi della Scuola di Riabilitazione Fenomenologica (SRF) per il 2014. L’intento generale della SRF è un rinnovamento di ampio respiro della cultura riabilitativa, che trae alimento dal vivo dell’esperienza terapeutica, e si propone nelle forme  metodologiche di di una formazione aperta e interattiva.

I Seminari della SRF sono diventati una scuola di dialogo fra diverse professioni riabilitative desiderose di fondare il proprio senso nelle radici culturali che le accomunano, e senza le quali non si può concepire un sapere esperto genuino. Dopo aver affrontato i due temi radicali dell’Esperienza (“Essere nell’esperienza”) e della Cura (“Cura ed esistenza”), i Seminari del nuovo anno si rivolgono al tema altrettanto sentito di una “Ricerca esperienziale” capace di riconoscere nell’esperienza terapeutica quotidiana la dignità di fonte genuina e rigorosa di conoscenza, in quanto laboratorio privilegiato di sintesi fra sentire e sapere.
A tale scopo, come già negli anni precedenti, abbiamo l’opportunità di incontrare alcuni studiosi di levatura internazionale, con i quali confrontarci per aprire prospettive originali di pensiero, di azione e di ricerca. Tali stimoli s’intrecciano con i laboratori di esperienza corporea e scrittura, delineando percorsi creativi di senso intersoggettivo.
Per ulteriori informazioni, vedi SRF seminari 2014 – ricerca esperienziale

I corsi del Gesto Terapeutico affrontano le condizioni di sofferenza del corpo umano iniziando con una svolta epistemologica, dall’evidenza scientifica del corpo-macchina, verso l’evidenza primaria del corpo vivente. La considerazione del movimento umano come gesto dotato di senso espressivo porta a riscoprire le pratiche terapeutiche correnti di terapia manuale ed esercizio terapeutico, e a concepirne creativamente di nuove. La pratica formativa personale e intercorporea è sistematicamente guidata dall’analisi somestesica e dallo scambio tonico e dialogico. Il terapista è così sfidato a inserire il proprio sapere tecnico all’interno della gestualità del corpo proprio e situato, in una relazione di senso radicale e diretta con il paziente.
Le proposte di quest’anno prevedono, oltre al corso base introduttivo e propedeutico, i due corsi del “Risveglio terapeutico” e della “Coordinazione integrale” dedicati alle condizioni dell’arto inferiore, in un percorso che ci permetterà di scoprire il ruolo imprescindibile dell’arto inferiore per le esigenze gestuali della corporeità in generale.
Per ulteriori informazioni, vedi SRF GT basiSRF GT arto inf risveglioSRF GT arto inf integrazione

Queste nostre iniziative culturali sono promosse dalla società di formazione ASSFER, presso il cui sito www.assfer.it è possibile iscriversi.

I formatori della SRF augurano a tutti felicità per le feste della Natività e per il Nuovo Anno  che ci attende,
Natale Migliorino, Caterina Gioachin e Marta Zocca

Nodi linee e composizione del corpo nell’esperienza terapeutica

Comincia quest’anno il nuovo progetto “Nodi linee e composizione del corpo nell’esperienza terapeutica” per Formatori del Gesto Terapeutico, dedicato a terapisti che abbiano già un’esperienza formativa e terapeutica nella proposta del Gesto Terapeutico, e che desiderano approfondire la metodologia, la competenza delle dinamiche di terapia manuale e delle forme gestuali, e la ricerca esperienziale in tale ambito. I corsi di questo progetto si caratterizzano per l’attenzione privilegiata alla relazione fra coordinazione motoria e Gesto terapeutico, e alle strategie pedagogiche attuabili nell’esperienza terapeutica.
Il docente è Natale Migliorino.
Le date degli incontri di quest’anno: 15 giugno e 30 novembre.

I Gesti terapeutici della regione cervico-toracica. Ricerche esperienziali.

Docente: Natale Migliorino
Sede: Azienda ULSS 12 Veneziana

Un lungo sodalizio culturale lega la nostra proposta culturale ai colleghi fisioterapisti della ULSS 12 Veneziana. Il corso di quest’anno sulla regione cervico-toracica approfondisce il percorso del “Gesto Terapeutico”, presentando gli esiti di nuove ricerche esperienziali sviluppate negli ultimi tempi, e le nuove possibilità di azione terapeutica che si rendono disponibili.