Progetto formativo: Sentieri del corpo che cambia

Il mondo sanitario attuale è teso fra esigenze di efficientismo e di controllo in un modello del sapere ultraspecialistico. In tal modo resta non riconosciuta l’esigenza primaria di generare il senso dell’esperienza nel vivo della relazione di cura e terapeutica.
Il presente progetto intende proporre un modello formativo esperienziale in cui il professionista sanitario sia in grado di orientare l’esperienza di cura non solo sull’altro, ma anche su se stesso e sulla relazione. Queste prospettive della cura nel loro insieme costituiscono il nucleo intersoggettivo che, assieme al sapere clinico, fonda e guida l’esperienza terapeutica. Il professionista in questo modo non si limita al sapere e al saper fare, ma sperimenta un saper “essere-con” incarnato e coinvolto.
In tale attitudine di base possiamo riconoscere i campi di competenza percettiva, somestesica, affettiva, etica e simbolica, che nel loro insieme definiscono la competenza esperienziale. Ogni competenza si mette in gioco e si matura nei processi interconnessi del sentire, della riflessione e del dialogo intersoggettivo. Sono queste le direttrici fondamentali di un processo formativo aperto dell’esperienza terapeutica.
Lo scopo del progetto formativo è quello di favorire lo svilupparsi della competenza esperienziale all’interno dei contesti professionali quotidiani, nella prospettiva di una comunità capace di generare processi e forme originali di ricerca esperienziale.

Il progetto formativo è composto da due eventi, ai quali ci si iscrive separatamente, con possibilità di partecipare a uno o a entrambi gli eventi.
Dopo il primo evento (“Sentieri del corpo che cambia”) realizzato nell’autunno 2019, è attivato il secondo evento:
ABITARE E GENERARE IL CAMBIAMENTO TERAPEUTICO

Date: 29 febbraio-1 marzo e 21-22 marzo 2020.
Programma generale e istruzioni per l’iscrizione: 2020-02-29-sfr2-locandina-padova-al-2020-01-09-cr384-3p

 

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IL SENTIRE ESPRESSIVO.
Verso un’estetica dell’esperienza terapeutica
di Natale Migliorino

Al di là di muscoli, articolazioni e nervi, la terapia del corpo sofferente si fa esperienza terapeutica quando adotta, quale asse del proprio agire e ragionare, il sentire espressivo dei soggetti coinvolti. Si apre in tal modo la prospettiva di un’estetica dell’esperienza terapeutica, capace di accogliere e comprendere direttamente i fenomeni propri della sofferenza e della cura: dalla sensazione fisica alla qualità tonale, dall’emozione al senso simbolico.
Nella dimensione estetica si realizza l’incontro fra terapeuta e paziente, secondo i modi condivisi della sensibilità, del dialogo e dell’interazione. Si avviano così nuove prospettive di ricerca che vanno oltre i dettami del ragionamento clinico di tipo causale e delle tecniche precostituite.
Il volume, a partire da una prima riflessione sui temi estetici del sentire e dell’esprimere, presenta un ciclo di ricerche esperienziali incentrate su alcune forme gestuali basilari del corpo vivente nella sua relazione con lo spazio di esperienza. Centrali in queste ricerche risultano le pagine del diario terapeutico che presentano il vivo dell’esperienza, con le sue difficoltà, intuizioni, scelte e scoperte, che aprono a nuovi scenari di conoscenza e esperienza.

Collana SomatoMorphosis

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FORMARSI NELLA CURA TERAPEUTICA. Ricerche esperienziali in riabilitazione
A cura di Natale Migliorino, Caterina Gioachin, Marta Zocca

Formarsi nella cura terapeutica presenta le ricerche esperienziali di un gruppo di terapisti di ambito riabilitativo, accomunati da un progetto di rinnovamento della pratica terapeutica secondo una prospettiva fenomenologica. La cura terapeutica è intesa non solo linearmente come cura dell’altro, e neanche solo come cura sensibile dei propri gesti terapeutici; essa prosegue riflessivamente nella cura di sé che terapista e paziente sono chiamati entrambi a coltivare.
Si delinea così un modello di esperienza coinvolta, fondata sul bisogno di integrità e di cambiamento del corpo sofferente/curante. Il coinvolgimento comporta l’esposizione a difficoltà e scoperte di un percorso tutto da esplorare e da co-costruire. Ma questa fedeltà ai fenomeni sempre nuovi dell’esperienza dà accesso a quei temi essenziali che danno forma alla comprensione genuina dell’esperienza stessa.
Le ricerche, pur condotte in contesti eterogenei, riconoscono fra loro una solidarietà radicale grazie ad alcuni riferimenti cardinali: l’espressività del corpo vivente, il sistema relazionale come nucleo intersoggettivo primario, e la trama narrativa con cui si trasmette e si rinnova il senso dell’esperienza.

Collana SomatoMorphosis

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IL GESTO TERAPEUTICO.
Forma e contatto
di Natale Migliorino

Il corpo sofferente è innanzitutto corpo che sente, e nel suo stesso sentire possiamo riconoscere le condizioni di possibilità dell’esperienza terapeutica.
Ogni percorso riabilitativo è fin da subito intersoggettivo in senso pieno: il corpo del terapista e quello del paziente condividono le stesse esperienze essenziali, al di là delle differenze di ruoli. Il contatto corporeo, specie nel gesto di terapia manuale, diventa espressione dinamica di un’autentica relazione terapeutica quando si emancipa dalla concezione tecnico-strumentale e dagli atteggiamenti di uso e controllo del corpo, basati su criteri di normalità ed efficienza.
In questa prospettiva, l’autore rileva i limiti dello scientismo applicato in riabilitazione e delinea un percorso dove il corpo si fa gesto terapeutico. Esplorandosi nel vivo delle proprie percezioni, emozioni e condizioni di esistenza, il corpo si riscopre nelle forme gestuali quale senso originario dell’esperienza di sé e del mondo.
Il testo è un invito all’esperienza corporea sensibile e riflessiva, rivolto a tutte le persone che, per professione e intima vocazione, si dedicano al corpo sofferente, in particolare ai fisioterapisti; ma anche a tutti coloro che lavorano nell’ambito delle altre professioni riabilitative e, più in generale, delle professioni educative e di cura.

Convegno Formarsi nella Cura Terapeutica

UN EVENTO PIÙ GRANDE DI NOI.
Riflessione in coda al convegno Formarsi nella Cura Terapeutica (Dolo, 24-26 marzo 2017).

Quante cose sono successe in questo convegno. Ne sono uscito con la sensazione che si sia trattato di un evento più grande di noi. Come se, una volta sorto, avesse assunto una propria autonomia e avesse sopravanzato le intenzioni e le attese con cui ce l’eravamo prefigurato. Quanti accadimenti si sono rivelati dotati di qualità e intensità differenti da come me li immaginavo. Quanti passaggi imprevisti, piccole svolte, nuove domande hanno costellato l’esperienza con le loro ispirazioni. Quante persone mi sono apparse in un loro profilo di Grazia. Questa sensazione vaga e confusa di un’esperienza formativa così generosa basta a se stessa, posso tenermela en stretta così com’è, per non perdere il suo clima speciale.

Ma accanto a questa sensazione generale mi porto dentro il vivo rilievo di alcuni temi emersi nei momenti di dibattito del convegno. Si tratta dei temi cruciali della tonalità, dell’integralità e della radicalità, che meritano una riflessione per chiarire la natura del nostro progetto.

Il tema della tonalità è emerso durante il dibattito del primo giorno. La domanda è stata: qual è la differenza fra il termine “tono” correntemente utilizzato in riabilitazione (da “tono muscolare” a “dialogo tonico”), e il termine “tonalità” da me utilizzato? La differenza consiste fondamentalmente nel fatto che il tono è un fenomeno fisiologico riferito all’attività muscolare, mentre la tonalità è un fenomeno estetico riferito alla qualità di presenza propria e situata del corpo vivente, e apprezzabile secondo il modo del sentire espressivo. Per questo la tonalità è un fenomeno che viene recepito nella somestesi del corpo proprio, e allo stesso tempo si esprime nello spazio condiviso di esperienza, manifestandosi secondo i gradi della qualità tonale (qualità dinamica e affettiva che emana dal corpo), dello schema tonale (struttura composita e coerente di relazioni intracorporee che rende conto dello stile con cui si esprime un movimento) e della forma gestuale (relazione d’intenzionalità somatica fra il soggetto e il suo spazio di esperienza).

Il tema dell’integralità è emerso nel dibattito dell’ultimo giorno. Lo spunto è arrivato da un’osservazione critica nei confronti del concetto di “integrazione” e di “approccio integrato” correntemente usati in riabilitazione. In particolare la critica ha rilevato il fatto che l’approccio integrato non risolve il problema del dualismo, anzi produce un effetto paradossalmente moltiplicatore e dispersivo sulla realtà riabilitativa. La critica risulta molto pertinente considerando il fatto che solitamente l’approccio integrato in riabilitazione è inteso come proposta di una composizione di metodi di trattamento eterogenei, al fine di soddisfare una varietà di bisogni del paziente.

L’idea di integralità insita nel nostro progetto si differenzia nettamente dagli approcci integrati in quanto il concetto di integralità ci riporta alla pienezza costitutiva della dimensione umana, che precede ogni esperienza. L’uomo in generale, e l’uomo che soffre in particolare, si dà all’esperienza nella pienezza e interezza della propria umanità, e come tale va accolto. Non solo, ma anche il terapeuta (riabilitatore, medico, infermiere, psicoterapeuta) è chiamato a riconoscere e a coinvolgere la pienezza della propria umanità. A questo proposito si consideri ad esempio il laboratorio del primo giorno, con i suoi temi dell’affidarsi e dell’accogliere, nella varietà dei modi dinamici, affettivi e morali con cui sono stati espressi.

In linea di continuità con il concetto di integralità, il concetto di radicalità pone la questione di un’esperienza che pesca nella profondità della propria radice la genuina ispirazione e motivazione per svilupparsi. Anche in questo caso è opportuno distinguere nettamente la radicalità esperienziale dal radicalismo rigido e fanatico di cui si hanno esempi diffusi nell’attualità, ma che ha macchiato di sé la storia dell’umanità, offendendo l’umanità di chi l’ha subito, beninteso, ma anche tradendo l’umanità di chi l’ha praticato. Ogni volta che l’uomo non è riconosciuto nella sua natura trascendente (questa è la lezione di Lévinas), e viene ridotto e asservito all’idea e al controllo da parte di un altro, lì siamo di fronte alla malattia morale del radicalismo che esita nell’aridità estetica e nella morte esistenziale dell’uomo.

La radicalità esperienziale è la cura di tale malattia, che si realizza ogni qualvolta ci si renda disponibili a farsi interrogare dalla nostra umanità in atto nell’esperienza quotidiana. La radicalità intesa come radice dell’esperienza di cura e terapia indica la radice in intima solidarietà con il terreno che le è proprio, che alimenta e fa espandere l’esperienza della cura e della terapia. Indizi di tale radicalità esperienziale sono l’intensità affettiva, l’adesione solidale all’altro, la vitalità del clima relazionale, il naturale propagarsi del senso esperienziale da una dimensione all’altra della condizione umana. Questi indizi sono serpeggiati nelle diverse attività del convegno, e abbiamo potuto gustarli in particolare nei momenti dei laboratori che ci hanno provocato fin dall’inizio di ogni giornata, per assumere il dinamismo riccamente interattivo dei laboratori pomeridiani.

Nei giorni del convegno questi tre temi di fondo (tonalità, integralità e radicalità) hanno serpeggiato fra le diverse attività, vivificandole e fecondandole, rendendole sovrabbondanti. Da qui la sensazione di un evento più grande di noi, in quanto ha attraversato tutti gli spazi liberi concessi dalla struttura aperta delle nostre attività, finendo per generare nuovi spazi e nuovi temi. L’impegno che ci attende adesso è di dare continuità e sviluppo a questa esperienza primaria, riconoscendo innanzitutto il suo spirito e le sue ispirazioni nell’esperienza quotidiana.

Benvenuto a un nuovo sito.

Diamo il benvenuto al nuovo sito www.natalemigliorino.com che espone l’attività terapeutica e formativa di Natale Migliorino. Al suo interno sono esposti in modo approfondito i temi del nuovo progetto formativo “Il Gesto di Cura e Terapia”, sviluppo del precedente “Il Gesto terapeutico”. Il nuovo progetto si caratterizza per un impianto formativo centrato su temi esperienziali anziché su regioni corporee. Inoltre il progetto in alcuni suoi passaggi il progetto si apre anche a soggetti esterni alla riabilitazione, e con i quali possiamo condividere la prospettiva esperienziale sul corpo vivente.
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Aggiornamenti sul convegno “Il formarsi della cura terapeutica”

A settembre e a novembre si sono tenuti altri due incontri del gruppo dei relatori, che prosegue così nel cammino di autoformazione. Le ricerche si sviluppano e maturano grazie anche agli scambi avvenuti durante gli incontri.
Nel frattempo sono avvenuti dei cambiamenti importanti sul piano organizzativo, tali per cui si è dovuto posticipare il convegno in primavera. La ricerca esperienziale continua.

Fiori di campo, annunci indecifrati.

Il 2 e 3 giugno a Fusea (provincia di Udine), c’è stato un incontro preparatorio fra i relatori del convegno “Il formarsi della cura terapeutica” (25-27 novembre 2016). È il secondo di una serie di incontri programmati come progetto di autoformazione per il gruppo dei relatori, al fine di maturare gli strumenti metodologici che abbiamo costruito negli ultimi anni sulla ricerca esperienziale.

Il primo giorno è stato dedicato a una relazione sull’analisi dei testi esperienziali, che è il passaggio della ricerca in cui si elabora sistematicamente il senso dell’esperienza. I contenuti fondamentali della relazione hanno riguardato l’analisi funzionale dei testi, l’analisi tematica dei testi e la connessione fra i passaggi metodologici dell’analisi e i diversi livelli di realtà dell’esperienza.

Il secondo giorno è stato dedicato alla pratica dell’analisi dei testi di esperienza dei partecipanti organizzati a coppie, e poi allo scambio in gruppo. È stato un confronto intenso con punte di coinvolgimento appassionato che ci hanno fatto sforare di gran lunga i tempi programmati. Non poteva essere differentemente, perché i testi di esperienza presi sul serio finiscono per toccare molte corde sensibili.

In questi due giorni ci siamo concessi anche due visite ai luoghi che ci ospitavano.

La prima visita è stata una passeggiata in un sentiero di montagna. All’interno del paesaggio della Carnia così morbido nelle sue varie tonalità del verde e nelle sue linee di profili e di sentieri, il cammino è stato cadenzato anche dall’attrazione per i fiori di campo: la loro varietà di specie, di colori, di forme. Visti da lontano sono piccole macchie di colore. Ma passando loro vicino, entrando nel loro spazio intimo, mostrano tutto il loro splendore, si espongono al nostro ammirato stupore. Questi fiori di campo sono un po’ come le nostre esperienze che stiamo analizzando e ammirando in questi giorni. I fiori di campo si offrono così allo sguardo come simboli viventi dell’estetica del testo esperienziale.

La seconda visita è stata alla chiesa del paese: una chiesa che ha mantenuto il suo stile architettonico romanico essenziale, con il respiro elegante delle sue volte a crociera. Nella parete destra si trova incassato l’antico tabernacolo dove è raffigurata in bassorilievo la scena dell’annunciazione: da un lato l’Angelo, dall’altro Maria. Sotto le due figure, una scritta. Sotto la figura di Maria è facile leggere il nome “Maria”. Ma la scritta sotto la figura dell’angelo non si riesce proprio a decifrare. Nemmeno un signore del luogo che conosce bene la chiesa sa dirci cosa significhi. Qui la scritta indecifrata si presenta allo sguardo come fenomeno simbolico della tensione ermeneutica irrisolta che si accompagna alla lettura del testo esperienziale.

Convegno: Il formarsi della cura terapeutica. Verso una scienza dell’esperienza

Dal 25 al 27 novembre 2016 è previsto il convegno: “Il formarsi della cura terapeutica. Verso una scienza dell’esperienza”. È la prima volta che come Scuola di Riabilitazione Fenomenologica affrontiamo un’iniziativa formativa così complessa, che prevede la collaborazione di diversi relatori, un ampio ventaglio di temi, e una composizione molto variegata di partecipanti. Due sono gli scopi principali dell’iniziativa.

Il primo scopo è quello di mettere alla prova la nostra maturità e autonomia nella proposta di esperienze e di temi originali, dopo anni di confronti (vedi i Seminari) con alcuni fra gli studiosi più conosciuti della cultura fenomenologica italiana. Il modello di ricerca cui ci richiamiamo è quello della ricerca esperienziale che abbiamo progressivamente ideato e messo alla prova negli ultimi anni.

Il secondo scopo è quello di favorire l’incontro con quelle fasce del mondo riabilitativo e non solo, che non hanno avuto l’opportunità di approfondire i temi di una pratica di tipo fenomenologico, ma che si sentono incuriositi o attratti da questa prospettiva. In una cultura riabilitativa che negli ultimi anni è andata in debito di idee e che si è fissata in parole d’ordine astratte, abbiamo la pretesa di offrire uno sbocco di rinnovamento a partire dal basso.

Quindi non si tratterà del solito convegno formale e paludato. Sarà un’esperienza che al di là delle relazioni originali, offrirà molti stimoli, come le pro-vocazioni e i laboratori corporei. Confidiamo che i colleghi sappiano cogliere l’occasione di un evento nuovo.

depliant Il formarsi della cura terapeutica

Riflessioni in coda a “Le basi del Gesto terapeutico”, Trieste, 15 febbraio 2016

È appena finita la giornata introduttiva al progetto formativo del Gesto terapeutico, intensamente condivisa con i colleghi formatori del Corso di laurea in Fisioterapia di Trieste. Qui di seguito alcune esperienze della giornata che mi sono rimaste impresse come passaggi particolarmente significativi.

1. Laboratorio “sporgersi e sostenersi”.

Molti spunti interessanti in questo laboratorio. Tra essi, mi restano particolarmente impressi quelli più “abduttivi”, che mi allontanano dalle facili categorizzazioni. Ad esempio, durante il laboratorio dello sporgersi e del sostenersi in posizione seduta alta, una collega percepisce una buona aderenza dei piedi e tensione anteriore delle cosce, associate a un inarcamento vistoso della schiena con addome disteso passivamente. È evidente in questo caso che non ci troviamo di fronte a uno schema di “trattenimento” puro per come lo avevo descritto nelle sue componenti somestesiche (inarcamento della schiena, tensione delle cosce posteriori e  scarsa o parziale aderenza dei piedi). La buona forma di radicamento e sostegno degli arti inferiori, secondo una progressione ascendente, subisce con l’inarcamento della schiena una brusca deviazione. A presentare un interesse critico qui è il passaggio addominale, la cui distensione passiva rappresenta l’altra faccia dell’inarcamento posteriore. Si palesa quindi in questo caso l’esigenza di lavorare sul campo cosce-piedi-addome, allo scopo di stimolare il risveglio tonico dell’addome.

2. Esplorare la sequenza del gesto (ESG).

Stiamo provando il laboratorio ESG, il movimento indagato è l’elevazione delle braccia. Avvicinandomi a un gruppetto, mi dicono che la collega con il ruolo di paziente ha un dolore dorsale durante il grado estremo di elevazione.

Osservo la collega, noto le ginocchia piuttosto tese, e parto da lì: le chiedo di ammorbidire (o rilassare) le ginocchia. Per tutta risposta vedo che le ginocchia vanno in iperestensione. Ripeto diverse volte la richiesta di ammorbidire le ginocchia, e puntualmente esse vanno in iperestensione.  A quel punto esprimo alla collega il mio riscontro, e lei mi risponde qualcosa del tipo: “certo, perché quando mi rilasso lascio andare le ginocchia in iperestensione”. E così dicendo mi mostra una capacità di iperestensione veramente notevole! Quindi la tensione estensoria iniziale che per me era un fenomeno di tensione degno di richiedere un ammorbidimento, per lei era già una posizione di ammorbidimento di un’iperestensione che andava ben oltre. Non solo, ma il mio invito ad ammorbidire (o a “rilassare”, non ricordo il termine che avevo utilizzato) lei lo aveva inteso come un invito a riportarsi nella posizione per lei più comoda e spontanea dell’iperestensione. Mia riflessione: che bell’esempio di frainteso linguistico!

Comunque, una volta chiarito il frainteso, le propongo di flettere leggermente di più le ginocchia, e quindi di notare se sente un cambiamento nel dolore dorsale. No, lei mi risponde, nessun cambiamento. Poi mantenendo le ginocchia in tale atteggiamento, le chiedo di sostenersi leggermente con l’addome inferiore (e così dicendo l’aiuto palpatoriamente ad attivare il tono). Risposta: nessun cambiamento dorsale. Infine mantenendo il tono addominale, le chiedo di sporgersi lievemente in avanti con il torace. Risposta: adesso sente scaricarsi il dorso, e il dolore è sparito.

Tre elementi di interesse in questo processo d’indagine: il primo è la possibilità del frainteso linguistico per cui  il paziente può interpretare in modo originale il compito affidatogli. Il secondo elemento, piuttosto ovvio nell’indagine, è quello di aver individuato una variazione (lo sporgersi del torace) che modificava significativamente il sintomo. Il terzo elemento ha riguardato la costruzione progressiva che ci ha condotto alla sparizione del sintomo: non abbiamo modificato isolatamente i singoli luoghi che componevano il gesto, ma abbiamo progressivamente costruito una qualità gestuale composita: disponibile (ginocchia), sostenuta (addome), aperta (torace) che nel suo insieme ha reso possibile il cambiamento.

3. Le dinamiche espressive delle mani e del corpo proprio.

Nell’ultimo laboratorio della giornata faccio provare al gruppo le tre qualità dinamiche della concordanza, discordanza e trasmissione. Per sensibilizzare preliminarmente i partecipanti, faccio provare loro queste dinamiche con le mani rivolte allo spazio, al fine di facilitare la messa in gioco globale del corpo.

Rimango stupito nel cogliere due tipi di situazione molto differenti: da un lato apprezzo l’espressività piena di alcuni colleghi che mostrano un coinvolgimento piacevole e bello da osservare, con movimenti lenti e fluidi, che emanano un sentire denso ed elastico. Ma qua e là nell’aula noto qualche corpo fisso con mani che si muovono incerte nello spazio: avverto il disagio di questo muoversi, mi verrebbe voglia di accorrere in soccorso, ma non lo faccio, perché comunque stanno vivendo l’esperienza, non si stanno sottraendo a essa, ci stanno dentro. Nel complesso entrambe queste situazioni, chi da una parte sta godendo di una qualità estetica gradevole e chi dall’altra sta dentro un disagio alla ricerca di una qualità che non riesce ad assaporare, sono comunque esperienze formative di valore, disponibili a una scoperta e a un cambiamento possibile di sé. E non è necessario intervenire fin da subito per modificare l’esperienza in corso.

4. Due tocchi, due luoghi, una situazione.

Una collega mi chiede come il contatto manuale può proporsi nella funzione di accompagnare l’esperienza della forma gestuale provata al mattino. Lei è seduta, mi pongo anch’io seduto al suo fianco, rivolto verso di lei, e la guido verso lo sporgersi. Appoggio una mano sul suo torace superiore, e la invito ad appoggiarsi a sua volta, aderendo e desiderando il contatto. Nel frattempo l’altra mia mano contatta la sua schiena, e mentre lei è impegnata nei primi tentativi di appoggio aderente anteriore, noto l’impulso d’inarcamento della sua schiena. Allora distendo ampiamente la mia mano sulla sua schiena, e le chiedo di cercare un appoggio aderente anche in tale sede. Sento il vuoto della schiena che gradualmente si colma, e il suo aderire delicato e diffuso sulla mia mano distesa. Adesso sento entrambi i luoghi, il torace e la schiena, pienamente aderenti al contatto con le mani. Lei mi dice che la sensazione di adesso è molto differente da quella provata questa mattina.

Nella mia riflessione penso innanzitutto alla modalità improvvisa con cui ho sentito arrivare la richiesta della collega, all’ascolto impegnativo che mi ha richiesto, e al mio aderire esperienziale immediato a essa, senza sapere al momento dove mi (ci) avrebbe portato. E l’evento accaduto per me ha avuto il sapore quasi di una novità, perché pur avendo avuto modo in passato di guidare la schiena e il torace dei pazienti in modi simili, è sempre un’esperienza particolare quella di cercare intenzionalmente il contatto aderente con due direzioni spaziali opposte. Questo “schema” è qualcosa di altro rispetto a uno schema di controllo motorio mirato a stabilizzare una parte mentre si muove un’altra parte. È l’esperienza di abitare diffusamente e in modo aderente lo spazio situazionale.